Denominazione di Origine Controllata (Doc) riconosciuta nel 1989, il Falerno del Massico Dop raccoglie in chiave contemporanea l’eredità storica di quello che per molti versi può essere considerato la prima denominazione di tutti i tempi. Quel Falerno di cui si parla diffusamente nei testi di Tito Livio, Plinio, Strabone, Marziale, come vino estremamente ricercato e costoso nella Roma tardo repubblicana e imperiale, particolarmente adatto al lungo invecchiamento nelle selezioni più curate. In realtà Plinio il Vecchio distingueva tre tipi di Falerno: il Caucino (quello prodotto sulle sommità delle colline), il Faustiano (prodotto a mezza costa) e il Falerno (dai siti in pianura).
Erano comunque tipologie chiaramente molto diverse da quelle che possiamo esplorare oggi, sia perché i vini dell’antichità erano spesso addizionati con miele, spezie e talvolta acqua di mare (per allungare i tempi di conservazione), sia perché è difficile stabilire con esattezza quali fossero le varietà e i siti utilizzati per produrre Falerno.
Nella vendemmia 2010 sono stati rivendicati poco più di 10.000 ettolitri di Falerno del Massico Dop, riferiti a quasi 150 ettari, per un potenziale superiore al milione e trecento mila bottiglie certificate, la stragrande maggioranza delle quali presentate attraverso le tipologie rosse.
Il totale imbottigliato è di poco superiore ai 2.000 ettolitri (meno di 300.000 bottiglie di Falerno).
Zona di produzione
La piattaforma territoriale su cui si sviluppa la denominazione è in buona parte coincidente con l’Ager Falernus raccontato nei libri: Cellole, Sessa Aurunca, Carinola, Falciano del Massico, Mondragone. Cinque comuni alle pendici del Monte Massico, un’area delimitata a nord dal vulcano spento di Roccamonfina, ad ovest dal litorale domizio che collega Gaeta e Sinuessa (l’attuale Mondragone), e a sud dalla fertile piana di Terra di Lavoro.
Vi operano con regolarità una ventina di aziende, perlopiù di piccole dimensioni, con produzioni totali inferiori alle 100.00 bottiglie, salvo eccezioni estremamente significative.
Una denominazione piccola, ma allo stesso tempo estremamente frastagliata, costituita da una serie di impianti fitti (spesso oltre i 5.000 ceppi per ettaro), perlopiù molto recenti, che si collocano tra il livello del mare e i 350 metri di altitudine. Per quanto riguarda i terreni, la base comune è rappresentata dagli elementi calcarei di epoca pliocenica che caratterizzano il monte Massico, ricoperti da materiale piroclastico di differente costituzione ed origine, proveniente dai Campi Flegrei e dal vulcano spento di Roccamonfina.
In linea di massima si posso distinguere due macrozone abbastanza omogenee.
Il lato sud-est (tra i comuni di Mondragone, Falciano e Carinola) è costituito da piccoli rilievi con pendenze morbide (tra i 70 e i 150 metri), terreni tendenzialmente sciolti e discreta presenza di componenti vulcaniche (pozzolana soprattutto);
il versante nord-ovest (Cellole e Sessa Aurunca) si configura secondo dorsali più uniformi e acclivi, con giaciture decisamente più compatte e tenaci, maggiore presenza di argilla e di scheletro calcareo, con altitudini che salgono verso i 350 metri nell’area confinante con quella di Galluccio e Roccamonfina.
Base ampelografica
Per quanto riguarda i vitigni a bacca rossa, in tutta l’area è largamente maggioritaria la coltivazione dell’aglianico, spesso in consociazione con il piedirosso, con raccolte concentrate tra la seconda metà di settembre nelle zone più precoce e l’ultima decade di ottobre in quelle più tardive. Una quota significativa è rappresentata dal Primitivo, vitigno che in quest’area può essere considerato quasi “autoctono” in quanto diffuso fino dalla seconda metà dell’800, specialmente tra i comuni di Mondragone e Falciano del Massico. Tra i vitigni a bacca bianca la varietà largamente dominante è la falanghina.
Principale tipologie e specifiche del disciplinare
Il disciplinare prevede per la Dop Falerno del Massico cinque tipologie: Bianco, Rosso, Rosso Riserva, Primitivo e Primitivo Riserva.
La tipologia Bianco prevede una percentuale minima di Falanghina dell’85%.
Le tipologie Rosso e Rosso Riserva fissano la quota minima di Aglianico al 60%, mentre per il Piedirosso è stabilita la quota massima del 40%. Nella pratica la maggior parte delle aziende producono i loro Falerno del Massico Rosso con percentuali molto più alte di Aglianico, quasi sempre superiori all’80% e la tendenza sembra muoversi progressivamente in direzione di Falerno realizzati con aglianico pressoché in purezza. Un processo che va messo in relazione anche con le proverbiali difficoltà agronomiche e produttive del Piedirosso, che si enfatizzano ulteriormente nel casertano.
Le tipologie Primitivo e Primitivo Riserva sono legate all’utilizzo della varietà tipica del Salento per almeno l’85%, mentre per la restante parte possono concorrere altri vitigni a bacca nera ammessi nella provincia di Caserta, chiaramente aglianico e piedirosso, ma anche sangiovese e montepulciano.
Per quanto riguarda i tempi minimi di invecchiamento, le tipologie Rosso e Primitivo possono essere commercializzati dopo almeno un anno e due mesi dalla vendemmia. Per le tipologie Riserva è previsto un anno in più, quindi 24 mesi complessivi, di cui almeno 12 mesi di maturazione in botti di legno (di qualsiasi dimensione).
Le annate
Come in molte altre zone campane, uno storico “collettivo” di annate si sta cominciando a creare solo da un paio di lustri. La disponibilità di vecchie bottiglie presso l’azienda Villa Matilde, comunque, consente di avere un’idea sulle migliori annate del periodo precedente: 1985, 1990, 1992, 1995, in parte 1998 e 1999.
Venendo all’ultimo decennio e considerando una rosa più ampia di interpretazioni, la vendemmia 2000 si fa ricordare per il Falerno del Massico molto più che per altre aree della regione, mentre 2001 e 2004 sono annate favorevoli un po’ in tutte le zone. Calda e asciutta la 2006, estremamente godibile la 2007, maggiormente bisognosa di tempo la 2008, più irregolare la 2009, a dir poco promettente la 2010.