La provincia di Caserta è la più settentrionale della Campania, incastrata tra le montagne del Frusinate (a nord), l’imbocco dell’Appennino Meridionale (ad est), il mar Tirreno (ad ovest) e la fertile piana che si allunga fino al Golfo di Napoli (sud). E’ un area di transito naturale per chi deve raggiungere rapidamente le province dell’estremo sud attraverso l’asse tirrenico, tanto da rappresentare fin dall’antichità (a partire dall’importanza assunta dalla Via Appia) una realtà unica già molto simile all’attuale composizione amministrativa della provincia.
Poco più di 2.680 ettari vitati (9% della superficie totale) per circa 124mila ettolitri di vino (8% del totale regionale), circa 60 aziende imbottigliatrici, quattro denominazioni di origine e due a indicazione geografica per un totale di quasi quaranta tipologie di vini. Numeri che fanno del casertano un distretto in crescita, con tante anime e soprattutto opzioni estremamente diversificate da un punto di vista stilistico e commerciale. Le aziende sono perlopiù di piccole dimensioni, con produzioni inferiori alle 100.000 bottiglie, ma non mancano realtà più ambiziose e strutturate (anche di tipo cooperativo) che si trovano ad operare su più distretti, anche in altre province e denominazioni campane.
Alla base del movimento casertano c’è un patrimonio ampelografico di grande profondità e interesse, che vede tra i principali vitigni a bacca rossa come al solito l’aglianico e il piedirosso, ma anche primitivo, pallagrello nero, casavecchia, con quote marginali riservate a sangiovese, montepulciano oppure vitigni internazionali come merlot e cabernet sauvignon. Tra le varietà a bacca bianca, decisamente minoritarie nel vigneto casertano, lo spazio maggiore è occupato dalla falanghina, affiancata da pallagrello bianco, asprinio, fiano, greco e coda di volpe.
PROVINCIA DI CASERTA – ZONE DI PRODUZIONE
Le aree di riferimento significative per i vini della provincia di Caserta sono sostanzialmente quattro.
Le DOP della provincia di Caserta
Le pendici del monte Massico ospitano le vigne di aglianico, piedirosso e falanghina che danno forma al Falerno, a cui spetta il difficile compito di rinverdire i fasti di quello che era probabilmente il vino più ricercato dell’Antica Roma, specialmente in epoca imperiale. La Dop attuale è denominata Falerno del Massico, declinata in rosso con una doppia forma: la tipologia Rosso prevede una quota minima di aglianico per almeno il 60% con la restante parte coperta dal piedirosso (ma è possibile produrre Falerno del Massico Rosso anche con aglianico in purezza). La tipologia Primitivo prevede un utilizzo per almeno l’85% del vitigno solitamente conosciuto per la sua produzione in Puglia, ma presente anche tra queste colline fin dal diciannovesimo secolo.
Nel quadrante nord-est della provincia, quasi al confine con il Lazio si sviluppa la Dop Galluccio, che condivide con l’area del Massico una base ampelografica molto simile (soprattutto aglianico, piedirosso e falanghina, con quote riservate a fiano e greco), i terreni di natura vulcanica e la medesima Igp di “ricaduta”, la Roccamonfina.
Cambia ancora lo scenario nella fascia sud, occupata dalla fertile piana aversana, che si estende fino alle porte di Napoli ed è uno dei territori a più alta vocazione agricola di tutto il Mediterraneo. Ortaggi e frutta dominano nelle coltivazioni, ma resiste – seppur con fatica – la tradizione delle cosiddette alberate etrusche, particolare sistema di allevamento verticale utilizzato nei vecchi impianti di asprinio, vitigno a bacca bianca geneticamente sovrapponibile al greco. La piccola Dop interprovinciale Asprinio d’Aversa prevede sia la tipologia ferma-secca, sia la versione Spumante, una delle poche che meritano di essere citate per importanza storica.
C’è poi l’ampia Igp interprovinciale Terre del Volturno, che comprende nei propri confini anche qualche comune ubicato in provincia di Napoli. E’ una zona molto estesa, che attraversa la provincia di Caserta dalle propaggini dell’Appennino Molisano (a nord-est) al litorale domizio (a sud-ovest) e come tale ha sviluppato vocazioni diverse nelle diverse sottoaeree. In questi anni sono emersi con forza i caratteri identitari di un’area più circoscritta, che si colloca al confine con la provincia di Benevento, a ridosso delle colline caiatine e matesine. Nell’ultimo ventennio sono state recuperate qui varietà pressoché scomparse ma di grande valore come i pallagrello (nero e bianco) e il Casavecchia, che con la vendemmia 2012 si vede riconosciuta una propria specifica dop, il Casavecchia di Pontelatone.